Quel brillante bilancio del Milan rovinato da Ticli e Varaldi

di Marco Liguori e Salvatore Napolitano

La ricetta è ampiamente sperimentata e gli ingredienti ormai noti. Si prende una dose massiccia di svalutazione dei diritti pluriennali alle prestazioni dei calciatori, usufruendo della famigerata legge definita «spalma perdite», facciamo 242,005 milioni di euro. Vi si aggiunge un sostanzioso strato di plusvalenze incrociate fittizie, facciamo 27,95 milioni. Si mischia l'impasto ottenuto con un paio di condoni: il primo per chiudere le liti fiscali pendenti dinanzi alla Commissione tributaria o al giudice ordinario, facciamo 2,389 milioni; l'altro, chiamato «tombale», atto a definire tutte le posizioni relative a Irpef, Irap e Iva fino al 30 giugno 2001, facciamo 1,813 milioni. Infine, si condisce il tutto con un assegnino staccato dall'azionista di maggioranza per ripianare le perdite nel bel mezzo della stagione: una spruzzatina di 60,579 milioni. Si ottiene un piatto di gran moda, ma totalmente indigesto a chi crede che le regole contino ancora qualcosa. Grosso modo è questo il bilancio del Milan, chiuso al 30 giugno 2003: un ricettario della furbizia.
Ma tutto ciò non è bastato per finire in utile. Infatti, in via Turati è rosso continuo: 29,5 milioni di perdite, in linea con i 33,22 dell'anno precedente. E non è stato sufficiente nemmeno il record del fatturato, aumentato al massimo storico, per la prima volta oltre i 200 milioni: esattamente a 203,852 milioni, il 28,33% in più dei 158,854 dell'esercizio precedente. Con i suoi 218,3 milioni incassati, solo la Juventus è riuscita a far meglio: rossoneri e bianconeri sono stati beneficiati dall'aver raggiunto la finale di Champions League nella scorsa stagione. I conti del Milan riflettono la gioiosa abbondanza derivante dal fatto che la squadra è il biglietto da visita del Cavaliere. In tempi di generale carestia, la società rossonera ha potuto tranquillamente permettersi un sostanzioso incremento degli stipendi elargiti: dai 121,588 milioni della stagione 2001-2002 ai 152,568 di quella 2002-2003. E' la conseguenza di una campagna acquisti incentrata sugli arrivi di Alessandro Nesta, Rivaldo, Clarence Seedorf e Jon Dahl Tomasson.
E le solenni promesse di risanamento, che sono state necessarie per ottenere la legge 27 del 21 febbraio 2003, la cosiddetta «spalma perdite»? Quelle le ha fatte il presidente della Lega calcio Adriano Galliani, mica l'amministratore delegato rossonero Adriano Galliani. Il rosso di bilancio è stato attutito drasticamente dalla legge 27 e dalle plusvalenze fittizie: sarebbe stato infatti di 112,71 milioni senza il ricorso ad esse. Non avrebbe creato però soverchi problemi ai conti rossoneri: l'azionista di maggioranza Fininvest, leggasi Silvio Berlusconi, che controlla la quasi totalità delle azioni, avrebbe semplicemente dovuto sborsare l'eccedenza di perdite, rispetto a quelle iscritte a bilancio, di 83,21 milioni. Una bazzecola per le tasche capienti del presidente del Consiglio, ma pur sempre un piccolo fastidio da 160 miliardi e spiccioli di vecchie lire.
Il Milan ha infatti sfruttato in misura rilevante i benefici dell'ineffabile «spalma perdite», svalutando il patrimonio calciatori nella misura di 242,005 milioni. Tra le grandi che vi sono ricorse, solo l'Inter ha operato un taglio più drastico. Come spiegato a pagina 37 del bilancio rossonero, l'adozione della norma ha generato minori ammortamenti complessivi pari a 54,305 milioni. E gli ammortamenti, come chiunque sa, sono un costo. Ma non è tutto: la Deloitte & Touche, società chiamata alla revisione del bilancio, ha dovuto sottolineare che, se tale svalutazione fosse stata imputata interamente al conto economico, «come previsto dalle norme sul bilancio di esercizio contenute nel Codice Civile e dai principi contabili di riferimento» l'aumento della perdita, e la contestuale riduzione del patrimonio netto sarebbe stata pari a «217,805 milioni, ovvero l'ammontare delle svalutazioni pari a 242,005 milioni meno la quota di ammortamento dell'esercizio pari a 24,2 milioni». E qui il fastidio per la Fininvest sarebbe stato un po' maggiore: un assegno da circa 422 miliardi di vecchie lire. Quanto alle plusvalenze, il Milan non ha affatto perso il vizio degli anni passati, iscrivendo a bilancio un totale di 28,908 milioni. Gli scambi con l'Inter sono ormai assurti al rango di consuetudine, ma lo scorso giugno è stato infranto il record: quattro carneadi hanno fatto il viaggio da Milanello ad Appiano Gentile e viceversa. Quello di Simone Brunelli, Matteo Deinite, Matteo Giordano e Ronny Toma verso l'Inter ha generato una plusvalenza fittizia totale di 11,961 milioni. In cambio, sono però arrivati a prezzi folli, in tutto 13,95 milioni, Salvatore Ferraro, Alessandro Livi, Giuseppe Ticli e Marco Varaldi.
Nelle sue usuali operazioni, il Milan non si è accordato con la sola Inter, ma anche con il Parma. Le cessioni di Marco Donadel, Davide Favaro e Mirco Stefani, scambiati con Luca Ferretti, Roberto Massaro e Filippo Porcari, hanno garantito 7,892 milioni di plusvalenza. Quanto ai rapporti con il Fisco, è rilevante l'ammontare pagato dai rossoneri per aderire ai vari condoni previsti dalla legge finanziaria 2003: 4,202 milioni complessivi, ossia 8 miliardi e 136 milioni di vecchie lire, sono la prova che la società milanista non può godere dell'etichetta di contribuente modello. Solo per fare due paragoni, la Juventus ha dovuto sborsare 755mila euro e l'Inter una vera inezia: 68.698 euro.
Infine, il Milan continua a beneficiare dei privilegi dell'appartenere al gruppo Fininvest. Lo ha segnalato, come accade ogni anno all'atto della certificazione del bilancio rossonero, anche la Deloitte & Touche e se ne comprende bene il perché: oltre ai 60,579 milioni di perdite ripianate dalla Fininvest con decisione presa dall'assemblea straordinaria del 20 dicembre 2002, si segnalano 11,333 milioni di ricavi ottenuti dal Milan per un accordo con Publitalia `80, concessionaria di pubblicità del gruppo, un debito di 15,844 milioni di natura finanziaria con la Fininvest, e qualche spicciolo per la cessione dei diritti televisivi a R.T.I. delle insulse amichevoli estive.
Non solo la situazione economica è precaria, ma anche quella finanziaria non è affatto brillante. Se la società supera indenne le tempeste è solo perché ha le spalle coperte dalla Fininvest: e può contare su aiuti importanti proprio per la sua appartenenza. Al 30 giugno 2003 la differenza tra debiti da un lato, e crediti e liquidità dall'altro, era pari a 92,358 milioni. Uno squilibrio certamente rilevante che però è di molto inferiore a ciò che sarebbe potuto essere. Infatti, a quella data, il Milan aveva già incassato i proventi relativi alla cessione dei diritti televisivi criptati sia per il campionato 2003-2004 che per quello successivo: e si parla di circa 150 milioni, equivalenti a poco più di 290 miliardi di vecchie lire. E' come se una famiglia avesse incassato in anticipo due anni di stipendio: ma se un giorno il datore di lavoro dovesse decidere di interrompere questa piacevole usanza, pagando alle scadenze regolari di fine mese, per due anni la famiglia in questione non incasserebbe più un centesimo: sarebbe perciò costretta a indebitarsi con le banche o con i fornitori per far fronte alle spese. E naturalmente subirebbe dei salatissimi interessi passivi, innescando un circolo vizioso: nel caso del Milan, 150 milioni di prestito al tasso del 7,125%, riservato alla clientela di primissimo ordine, produrrebbero un onere annuo di 10,69 milioni: un costo superiore a quello del promettente brasiliano Kakà.

(Fonti: www.ilmanifesto.it)

 

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